IL TERRITORIO MANTOVANO IN ETÀ LONGOBARDA
Paola Marina De Marchi
Regione Lombardia - Divisione Generale Cultura
1 - Introduzione
II territorio corrispondente all’attuale provincia di Mantova, preso nel suo complesso, non ha restituito testimonianze archeologiche relative all’epoca altomedievale, e in particolare longobarda, sufficienti a ricostruire un quadro chiaro dello stato del popolamento e degli insediamenti in quell’epoca. Finora a confronto di altre regioni lombarde queste terre presentano informazioni frammentarie, concentrate in alcuni punti, e difficilmente componibili ad unità (1).
Rimane problematico anche comprendere da quale giurisdizione territoriale dipendesse questo territorio - che appare cruciale per la posizione centrale e “di congiunzione” tra le aree di influenza veronese, cremonese, bresciana, romagnola - se interamente dalla giudicaria Sirmionense, che in parte estendeva la sua potestà anche nel Mantovano, come è attestato per alcune zone da documenti di VIII secolo (2), o fosse stato suddiviso tra Sirmione, il ducato di Brescia e quello di Verona, oppure, infine, se alcune aree meridionali fossero state incamerate tra i beni del fisco regio, e quindi frazionate tra diverse giurisdizioni, dopo la conquista di Mantova bizantina da parte dei Longobardi avvenuta nel 602/603 ad opera di re Agilulfo (3).
La città fortificata di Mantova (4), e così probabilmente buona parte del territorio ad essa pertinente, non rientra tra le terre conquistate dai Longobardi nella prima fase d’occupazione dell’Italia settentrionale, come invece Vicenza, Verona, Sirmione, Brescia, Bergamo, Milano occupate già nel 568/569 (5). Essa fece parte, per oltre un ventennio, a partire dalla data di occupazione della penisola, del fronte fortificato nemico, legata politicamente e militarmente all’impero romano d’oriente, come in Lombardia avvenne anche per l’isola Comacina, nel Comasco, Brescello e Cremona e nel vicino veneto, ad esempio, per il territorio del castro di Monselice e il padovano (6).
Nei territori conquistati dopo la ricostituzione della monarchia a partire, quindi, dalle campagne militari di Autari (eletto re nel 584), le testimonianze archeologiche d’ambito culturale longobardo sono scarse se confrontate con quanto rinvenuto, ad esempio, nel bergamasco, nel bresciano, nel pavese, nel milanese e, infine, nel territorio della giudicaria del Seprio, comprendente il Varesino, l’odierno Canton Ticino e parte del Comasco occidentale.
In sostanza nella guerra per la definizione dei confini del regno longobardo, Mantova costituì una roccaforte nemica geograficamente ubicata in una fascia territoriale di notevole importanza strategica perché situata nel punto di incontro delle vie di terra (infra § 3) e di acqua (Mincio, Oglio e Po) dirette verso il bresciano e il veneto, il Garda, Comacchio, Ravenna e l’area costiera lagunare adriatica.
Nel quadro dell’assetto difensivo attualmente ricostruibile, in base ai dati archeologici, per il mantovano, l’area di Sirmione del Garda e l’alto Garda, si può forse dire che Mantova e il suo circondario facessero da pendant a postazioni bizantine riconoscibili, a settentrione di Sirmione, nella rocca di Manerba (fìbbia bizantina e assenza di materiale attribuibile ai longobardi ), e più a settentrione ai ricetti fortificati della Val Sabbia e della Val di Ledro (Castel Gaino Castel Antico (10)), anch’essi privi di testimonianze della presenza longobarda, mentre il castello abitato longobardo di Sirmione, che utilizza le fortificazioni tardoantiche che proteggono il promontorio (11), occupato a partire dai primi anni dell’invasione (la necropoli d’armati, rinvenuta all’interno della cinta fortificata, con corredi contenenti materiali datati alla seconda metà del VI secolo, infra) e posto al centro dei due fronti proposti, controllava il lago di Garda e per la difesa si relazionava con il castro di Garda, situato in posizione di altura sulla sponda veronese del lago, e con i castelli trentini per il dominio dei transiti attraverso le valli delle giudicarle.
2 - La giurisdizione territoriale
Allo stato attuale delle conoscenze, è anche difficile riconoscere lungo quale asse corresse il confine tra I territori bizantini e quelli longobardi, negli anni che precedettero la conquista della città di Mantova. Il ritrovamento dell’estesa necropoli d’ambito longobardo a Sacca di Goito, che ha restituito manufatti da corredo funerario datati dalla fine del VI secolo al VII secolo inoltrato/inizi VIII, fa pensare che questa parte più settentrionale del territorio, posta a meridione dell’abitato castrense di Sirmione e lungo la via Postumia, potesse essere stata annessa al regno longobardo nella prima fase di conquista. Goito, come Roverbella e Castelgoffredo, dalle quali è poco distante, è posta su un ramo morto del fiume Mincio e lungo la fascia delle risorgive, che nella pianura lombarda caratterizza una buona percentuale di insediamenti longobardi, documentati da necropoli.
Una ricostruzione del territorio della giudicaria di Sirmione operata in base alla documentazione scritta di VIII secolo ancora conservata, permette di individuarne i confini occidentale ed orientale rispettivamente nel corso del fiume Chiese e del fiume Mincio, gli abitati menzionati nelle carte ricordano Caonno (Cavonno, Padenghe), ad occidente di Sirmione, e verso meridione la Selva Lugana (Silva Ligana), Cunicolo (Cunicolo prope Baudo), Gozzolina (Cociolina), Bocchere (Buccaria), Gusnago (Gosenagio, Gosenago). Confrontando questa carta con i dati archeologici è quasi certo che gli abitati di Padenghe (villa romana rurale, con continuità di vita anche nell’alto medioevo), di Monzambano (villa romana a riutilizzo rurale) e di Goito (13) (necropoli longobarda) rientrassero nella giurisdizione di Sirmione, della quale costituivano l’entroterra agricolo e silvo-pastorale.
Cunimondo di Sirmione, caro alla corte regia, nel 765 dona alle chiese di S.Martino, di S.Vito di S.Pietro in Mavinas in Sirmione e di S.Martino in Gusnago vari possedimenti tra i quali un casale a Marmirolo (Marmoredolo), località posta a meridione di Goito, comprendente tra gli altri beni un prato e un selva, donatigli dal re. I terreni sono retti da coloni tributari. In questo documento è di estremo interesse la descrizione delle case e delle capanne (tectoras), caratterizzate dalla copertura in paglia e scandole, come risulta dalla descrizione delle tecniche costruttive riportata nell’Editto di Rotari (643) (16) e da riscontri archeologici (area di Brescia/ S. Salvatore).
Sempre dalla documentazione d’archivio risulta che nell’VIII secolo il monastero benedettino femminile bresciano di S. Salvatore, fondato da re Desiderio nel 75, permuta terre con il chierico Andrea di S. Martino di Gusnago; si tratta in buona parte di paludi, poste lungo i fiumi Oglio e Mincio ma in particolare viene segnalato un locum qui nominatur Regula, dove si trova una domucola presso il Mincio (in fluvio Mentio) (19), provvista di un mulino e di ogni altro edificio utile a lavorare la terra.
Il quadro che si compone dai documenti di età longobarda avanzata riguardanti la parte di territorio mantovano, che rientrava nella giudicarla di Sirmione, offre un’immagine agricola a produzione mista, ricca e variata, con attività produttive e di allevamento e un avanzato sviluppo della proprietà fondiaria relativa a nobili di corte o a suoi fiduciari, che non a caso, per ragioni diverse, ritrasmettono i loro beni al monastero regio di S.Salvatore di Brescia. Tra le altre, sono ricordate terre sul colle di S.Pietro in Mavinas a Sirmione, selve e prati in Gambo (località inidentifìcata), case, terre e oliveti in Caonno, oliveti a Sirmione, e ancora case massaricie e terre coltivate, corti, orti, vigneti, prati, pascoli e selve, l’abbondanza d’acqua, con specifica dei relativi diritti d’uso, la selva Lugana. Tra le località citate si ricordano Gusnago, Caonno, Cunicolo (771) e Gozzolina (774) e, naturalmente, Sirmione.
3 - / ritrovamenti archeologici
Nel quadro delineato sono di grande importanza i ritrovamenti della necropoli longobarda di Sacca di Goito (21) (tav. 1) e della villa di Mansarine di Monzambano.
La prima comprende oltre 240 tombe, disposte, secondo un’accurata pianificazione cimiteriale, a file parallele che obbedisce alle tradizioni merovingie, seguite dai Longobardi, lungo la strada Mussolina. Questa necropoli si estende con regolarità su 2200 mq., le sepolture sono orientate est/ovest, le tipologie tombali variano, rientrando in ogni caso nella casistica conosciuta per le necropoli longobarde.
La necropoli si distingue come appartenente ad ambito culturale longobardo per il rituale funerario di seppellimento e “addobbo” del defunto, deposto nella sepoltura con il corredo, accanto o sopra il corpo, composto da oggetti simbolici del rango, delle funzioni e del potere economico che questi aveva in vita e dal prevalere di sepolti vestiti con l’abito tradizionale. Solo in rari casi, infatti, si riscontra la deposizione del corpo avvolto in un sudario, secondo un costume diffuso presso le popolazioni di tradizione romana e cristiana ortodossa (22).
La mancanza di armi di offesa e di difesa quali spade a doppio taglio e scudi, il prevalere fra le armi di scramasax (coltelli), la scarsità di punte di lancia e di freccia, di speroni fa però pensare ad un gruppo di “tradizioni germaniche” o di “cultura germanica” da mettere in relazione con un insediamento a carattere rurale piuttosto che militare. A questa interpretazione porterebbero, oltre alla già ricordata mancanza di armi proprie del set guerriero tradizionale (e basta in questo caso il confronto con le necropoli d’arme di Sirmione e di Calvisano nel bresciano, di Fornovo San Giovanni nel bergamasco anche l’attestazione nella necropoli di nuclei di sepolture familiari di uomini, donne, bambini, che porterebbero a confrontare il “caso” di Sacca di Goito con la necropoli familiare di Arsago Seprio, in territorio varesino, nella quale però sono presenti sia spade che scudi
Come a Fornovo San Giovanni è documentata una sepoltura di cavallo, secondo le migliori tradizioni guerriere.
Il materiale rinvenuto nei corredi indica che la necropoli è stata frequentata per un ampio arco di tempo, dalla fine del VI secolo (fibule bronzee tipo Gurina) al VII secolo inoltrato (Langsax e guarnizioni da cintura reggi armi in ferro con decorazione a sottili lamine in rame, applicate a formare motivi geometrici o decisamente cristiani) (27).
Ulteriori aspetti particolari, su cui occorre ancora riflettere, sono costituiti da alcune guarnizioni da cintura ageminate di VI/VII secolo con decorazione a pseudo cloisonné e a treccia, dalle modalità di lavorazione delle agemine, talvolta realizzate utilizzando fili ritorti, e non nastriformi, secondo una tradizione manifatturiera di origine romana, a riempire gli incavi predisposti, e dalla esecuzione dei motivi decorativi, particolarmente raffinata. La tomba 32 femminile della necropoli ha restituito due armille bronzee ad estremità ingrossate caratteristiche delle popolazioni autoctone, ma con buoni confronti anche in necropoli longobarde, ad esempio esemplari simili sono pervenuti dall’area della necropoli di Calvisano (Bs) (29) e da una tomba femminile scoperta a Castione in Canton Ticino (30) posta accanto ad una sepoltura di guerriero “longobardo”.
Nel complesso le conclusioni che si possono trarre, in attesa della pubblicazione definitiva della necropoli, fanno pensare ad un insediamento misto, che vede una “buona” assimilazione tra popolazioni locali e allogene, anche nella scelta degli oggetti da deporre, che sembra riflettere nel caso dei corredi maschili ruoli o una classe di appartenenza che non si identifica rigidamente con la funzione militare.
La villa romana di Mansarine di Monzambano (31), poi riutilizzata in età tardoantica- altomedievale, posta su un declivio che si estende tra il Monte Grotto e il Monte di Mansarine, è direttamente servita da un corso d’acqua naturale. Essa geograficamente si pone al centro dei percorsi viari della strada Verona/Brescia, che costeggia Sirmione, della via Postumia e della via Brescia/ Mantova. Lo scavo offre stratigraficamente la possibilità di seguirei mutamenti funzionali dell’edificio, che si compone di due parti distinte(pars urbana e pars rustica), tra loro affrontate ai lati di un cortile e circondate da ampi spazi delimitati da muri di cinta. Le fasi d’uso che si sono succedute danno testimonianza di una frequentazione con origini nel tardo I secolo a.C./inizi del I secolo d.C., mentre l’ultimo episodio costruttivo risale al V secolo, se non al successivo. Lo scavo non ha restituito testimonianze di fasi di crollo e di distruzione, piuttosto di un semplice abbandono e della spoliazione dell’edifìcio, che in un momento successivo al degrado vede la ripresa dell’utilizzo del sito che viene strutturalmente modificato. I nuovi occupanti mostrano, attraverso i mutamenti d’uso dei vani del fabbricato e il loro riutilizzo parziale, una netta predilezione per gli ambienti di modeste dimensioni e la tendenza a frazionare gli spazi di maggiore ampiezza. Le tecniche costruttive “povere” usate, che associano il legno alle murature in pietra, insieme ai reperti ceramici rinvenuti nello scavo, indicano l’impoverimento del tenore di vita in un periodo compreso tra un momento indefinito del V secolo e la metà del VI.
Le aree riutilizzate in quest’ultima fase sembrerebbero indicare un uso di alcuni spazi a ricovero di animali e, nella zona corrispondente all’antico portico della villa, l’individuazione di minuscole buche di palo e di cavità scavate nel pavimento in cocciopesto hanno fatto pensare ad uno spazio attrezzato con stabbi e truogoli per piccoli animali. Questo utilizzo conferma la vocazione di produzione agricola e di allevamento del bestiame di questa area ininterrottamente dall’età romana all’età altomedievale, in sintonia con quanto riportato anche nelle fonti scritte.
Altri segnali della diffusione della presenza longobarda in territorio mantovano si hanno dalla stessa città di Mantova. In particolare nell’area del seminario arcivescovile, scavata nel 1987, sono state individuate sequenze di attività edilizie relative a fabbricati pertinenti al vicino battistero paleocristiano, demoliti in una fase databile orientativamente, sulla base del recupero di ceramica longobarda negli strati relativi, alla prima metà del VII secolo. In un momento successivo l’area viene utilizzata a cimitero, come documentano tre tombe, delle quali una bisoma contenente lo scheletro di un individuo adulto, cui sono relativi decorazioni in oro da broccato, e di un bambino che conservava, deposto sul petto, un pettine in osso (32). La seconda tomba aveva pareti interne intonacate e ornate da una croce dipinta, avente confronti, tra gli altri, nelle sepolture di Canneto sull’Oglio, di Calvisano/ loc. Mezzane, del Duomo di Monza, dell’area del monastero di S. Salvatore/S. Giulia di Brescia (33). Nel Mantovano gli scavi hanno messo in luce strutture abitative o a carattere difensivo, la cui origine e il cui significato sono ancora da approfondire sia per definirne meglio la natura che per precisarne l’appartenenza all’alto medioevo. Così a Casalmoro sono recentemente emerse strutture caratterizzate da grosse buche di palo e da un focolare, i materiali, rinvenuti nell’area oggetto dell’indagine, sono costituiti, per lo più da ceramica, frammenti di laterizi e pietra ollare e, forse, da una fibbia in bronzo che sembrano attribuibili all’alto medioevo (34). Maggiori dubbi persistono per l’epoca di utilizzo dell’edificio scavato a Castelgoffredo (35), in un’area urbana denominata Castelvecchio, che conserva murature realizzate con cura confrontabili nelle tecniche con edifici altomedievali lombardi fortificati. La mancanza di materiali datanti impedisce però l’attribuzione certa a quest’epoca.
L’edificio rurale tardoantico-altomedievale di Sermide, nella bassa mantovana, conserva basi in muratura e tracce di probabili alzati lignei (36); la pianta dell’edifìcio mostra una suddivisione in più vani secondo moduli regolari, lontana dal modello delle ville rurali romane. Anche in questo caso una datazione circostanziata ad ambiti cronologici precisi non risulta possibile. Il materiale ceramico, limitato a ceramica grezza, frammenti di anfore scanalate e a un bacile con invetriatura giallo-verdognola, ha fatto supporre un’attribuzione di questa fase edilizia genericamente ad età tardoantica.
Infine, oltre alle aree cimiteriali scavate in questi ultimi anni da E. Menotti (37) della Soprintendenza archeologica della Lombardia, occorre ricordare la scoperta nella bassa mantovana di una sepoltura maschile, relativa ad un individuo di età giovanile, a Rodigo/Corte Panicella (38). Se il corredo di questa tomba risulta composto soltanto da uno scramasax, da un coltellino, da guarnizioni bronzee da cintura reggi armi (fibbia con placca mobile, contro placca e puntale) e da una fibbia in bronzo di tipo bizantino, con datazione complessiva al secondo trentennio del VII secolo, la struttura sepolcrale mostra, invece, una certa raffinatezza di esecuzione con muretti in mattoni e frammenti di tegoloni, fondo in mattoni e copertura a lastre in marmo di Verona e pietra di Botticino, indizio della presenza sul posto di maestranze artigiane tecnicamente capaci.
Altri indizi della presenza longobarda, o della diffusione di una cultura d’ambito longobardo, nel territorio provengono da manufatti, talvolta pervenutici senza indicazioni di provenienza certa, ad esempio le guarnizioni in bronzo da cintura reggi armi conservate al Museo Civico di Asola, che hanno confronti abbastanza puntuali con le guarnizioni di Rodigo, e i manufatti da Viadana (39).
In questa sede, si sono volute dare solo indicazioni di sintesi, riguardanti i principali ritrovamenti pubblicati, riservandosi di approfondire le ricerche in eventuali altre occasioni.
Note
1. E’ auspicabile, in tale senso, un’attenta ricognizione dell’Archivio Topografico della Soprintendenza archeologica e delle bibliografie locali, che sicuramente offrono elementi e precisazioni utili ad una più completa ricostruzione di quest’area nell’età altomedioevale.
2. Anche per l’età romana non è ancora stato chiarito, ad esempio, se i limiti settentrionali e orientali del territorio mantovano, Roverbella compresa, ricadessero nell’ager veronensis o nell’ager mantuanus, cfr. TOZZI 1972, pp. 62 ss., e MENOTTI 1993, pp. 151-152.
3. Hist. Lang., IV, 28.
4. Resti di mura cronologicamente attribuibili ad età tardoantica e altomedievale, per le tecniche costruttive utilizzate, sono state trovate in via Tazzoli 13, TAMASSIA 1985, pp. 174-175.
5. Hist. Lang., II, 14.
6. In territorio padovano, ad esempio, i materiali longobardi sono scarsi e sporadici a testimonianza di un’occupazione tardiva di quest’area da parte di questo popolo, LA ROCCA 1989, pp. 83-164.
7. DE MARCHI 1994, pp. 33-85.
8. BROGIOLO 1997,pp. 299-313.
9. BROGIOLO 1995-97, pp. 130.
10. BROGIOLO 1991.
11. ROFFIA 1985, pp. 43-49.
12. BROGIOLO 1989, pp. 14-17, Fig.1, con documenti relativi.
13. La località ha un toponimo di origine gota, cfr. LUSUARDI SIENA 1989, pp.191-226.
La presenza probabile in questa area di transito di truppe in età tardoromana e gota fa supporre la rioccupazione del sito da parte dei Longobardi, se non per ragioni strategiche certo per il controllo della zona. In effetti dal territorio di Goito proviene una fibula cruciforme con bracci a terminazioni leonine, per cui GRECO 1990-91, p. 328, fig.13, riferibili a funzionari dell'amministrazione romana in età tardoantica ma assunti anche nel costume delle popolazioni germaniche; mentre la presenza gota potrebbe trovare conferma, oltre che dal toponimo, anche da un anello con castone ad almandini, una fibbia ed una placca in bronzo forse riferibili a popolazioni gote che costituiscono il materiale del corredo di una sepoltura scavata nell’area del Dosso della Chiesa Vecchia nel 1991, già oggetto della scoperta di una sepoltura longobarda, PICCOLI 1980, pp. 571-575, cfr. MENOTTI 1994, p.34.
14. Vedi n. 15.
15. CDL, p. 171, n.188, Charta Donationis (765, giugno 13).
16. Editto di Rotari, cc. 145.
17. BROGIOLO 1990, pp.179-210.
18. CDL, p. 271, n. 226, Charta Venditionis (768, marzo 29); p. 277, n.228, Charta Venditionis (769, maggio 15).
19. CDL, p. 345,n.257, Charta Commutationis (771, settembre 25).
20. CDL, p. 429,n.293, Charta Ordinationis et Dispositionis (774, maggio)
21. Excursus su i ritrovamenti cimiteriali longobardi a Goito e sui rapporti che intercorrono trai diversi nuclei di sepolture in MENOTTI 1994, pp. 97-127; il ritrovamento di sepolture d’età longobarda nell’area dell’antico oratorio è pubblicato da PICCOLI 1980, pp. 571-575.
22. Vedi n. 21.
23. SESINO 1989, pp. 65-91.
24. DE MARCHI 1995, pp. 377-411, part. fig.7.
25. DE MARCHI 1988, DE MARCHI, CINI 1988.
26. MASTORGIO 1976/77, pp. 3-27; PASSI PITCHER 1984, pp. 1-20; MARIOTTI 1994, p. 120; DE MARCHI 1989, pp. 119-136.
27. In territorio lombardo i confronti si hanno nella necropoli di Santi di Sopra a Calvisano e a Fornovo San Giovanni, DE MARCHI 1995 e 1988; guarnizioni di questo genere sono attestate, tra i molti esempi, anche nella necropoli di Testona in Piemonte, von HESSEN 1971.
28. DEMARCHI 1994, pp. 41-74, part. tavv. VII, fig. 4 (puntale con croce), X, figg. 3-4 (guarnizioni ageminate), XII, fig. 1 (placchetta ageminata).
29. DE MARCHI c.s..
30. CRIVELLI 1944.
31. BREDA 1997, pp. 271-287.
32. BROGIOLO 1987, pp. 128-131.
33. Bibliografia in DE MARCHI 1994, p.78.
34. ATTENE FRANCHINI 1995-97, pp.147-148.
35. BREDA 1986, pp. 94-96.
36. BREDA 1985, pp. 76-77.
37. In corso di pubblicazione.
38. ROFFIA 1982, pp. 105-106.
39. Per Viadana LUSUARDI 1989. La lista e la bibliografia dei ritrovamenti aggiornata al 1994 è in DE MARCHI 1994, p. 78.
Bibliografia
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n.b.: Testo tratto da "ROVERBELLA ATTRAVERSO I SECOLI: CIVILTA' E CULTURE IN UNA TERRA DI CONFINE - ATTI DELLE CONFERENZE (SETTEMBRE-OTTOBRE 1997)" - maggio 1999