IL TERRITORIO MANTOVANO DURANTE L’ETÀ DEL FERRO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL TERRITORIO DI ROVERBELLA

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BELLEI ANDREA
20/7/2022

IL TERRITORIO MANTOVANO DURANTE L’ETÀ DEL FERRO,CON PAR­TICOLARE RIFERIMENTO AL TERRITORIO DI ROVERBELLA

Elena Maria Menotti

Soprintendenza Archeologica per la Lombardia

Il territorio mantovano si presenta estremamente vitale nel corso dell’età del Ferro: terra di confine fra varie culture riesce spesso a diventare punto d’incontro piuttosto che di scontro.

Dopo i primi secoli, durante i quali nelle aree in destra Mincio poste a nord e ad ovest si evidenziano elementi ricollegabili ad un linguaggio venetico soprattutto per ciò che concerne oggetti di ornamento, queste terre vedono la presenza di tre importantissime culture: a fianco della veneta quella etrusca ed, in seguito, quella celtica.

La presenza etrusca nel mantovano è ben attestata nelle fonti classiche, prima fra tutte Virgilio, ma è solo con il XIX secolo che ritrovamenti occasionali vengono a convalidare tali voci.

Si tratta dei ritrovamenti delle necropoli di Rivalta sul Mincio, della tomba a tumu­lo di palazzo Cavriani alla Garolda di Roncoferraro; sempre da contesti tombali provengono i materiali relativi a corredi funerari rinvenuti a Corte Zaita-Cà Rossa a Bagnolo San Vito, ed ancora, sempre a nord del Po si devono ricordare i ritrova­menti di Casteldario, di San Benedetto Po e del Lago Inferiore di Mantova.

Con il XX secolo si ha un ulteriore incremento delle scoperte: si tratta delle tombe di via Massari a Mantova, di Corte Vivaio a Roncoferraro, di Corte Delfine Nuove a Bagnolo San Vito. Ancora a Bagnolo i ritrovamenti di Corte Righelli, quello nelle vicinanze di Corte Abbondia/Chiesa Parrocchiale, di Cavo Cavalletto. Nel contiguo comune di Virgilio si annoverano i rinvenimenti di Corte Romane e Corte Streggia. A fianco di queste le testimonianze di Mantova-Castelnuovo Angeli e di Cereta di Volta Mantovana.

Buona parte dei materiali testimoniano rapporti commerciali con l’Etruria e con il mondo greco, trattandosi di vasellame bronzeo quali schnabelkanne, o di ceramica attica, in taluni casi anche figurata, o di balsamari vitrei di provenienza rodia.

E’ però soprattutto negli ultimi due decenni del secolo che scoperte fortuite e scavi di alto rigore scientifico portano nuova luce sulla presenza etrusca nel Mantovano: si tratta degli scavi dell’abitato del Forcello di Bagnolo San Vito e del Castellazzo della Garolda di Roncoferraro a nord del Po e di Poggio Rusco a sud. Di grande rilie­vo la scoperta a Bozzolo di una necropoli di V secolo a.C. e di materiali etruschi a Castellucchio, tracce di una penetrazione verso occidente da attribuirsi con molta probabilità agli etruschi di Mantova.

Un discorso a parte merita poi la città di Mantova, secondo la tradizione di fonda­zione etrusca, e dove oltre alle vecchie scoperte ottocentesche e di questo secolo, fra cui sono da ricordare i ritrovamenti di piazza Sordello, piazza Paradiso, della Questura, del palazzo Vescovile, della casa di Rigoletto, del Seminario Vescovile e di via Massari, luce vengono a gettare le indagini stratigrafiche effettuate negli anni ottanta e novanta dalla Soprintendenza Archeologica della Lombardia, in taluni casi in luoghi vicini a vecchi rinvenimenti come nel caso degli scavi di piazza Sordello o presso il Seminario Vescovile, o in nuovi luoghi, quali via Tazzoli, vicolo Pace ed alla Rotonda di San Lorenzo. Da un esame preliminare i reperti preromani indagati sem­brano restituire materiali che, nel caso di piazza Sordello, si datano anche a partire dal V secolo a.C., mentre alla Rotonda di San Lorenzo si evidenzia una realtà diver­sa che non può risalire oltre il III secolo a.C..

Con gli anni novanta nuove realtà archeologiche sono venute in luce in città con i ritrovamenti avvenuti a seguito degli scavi effettuati all’interno del Cortile degli Orsi di palazzo Ducale, o con i ritrovamenti di piazza delle Erbe e di piazza Paradiso. Il saggio di scavo condotto in un angolo del Cortile degli Orsi ha permesso di ricono­scere un lembo dell’insediamento di Mantova etrusca, in cui nel corso dei secoli si susseguono una zona esclusivamente produttiva con una abitativa e produttiva. In quest’area molto ristretta si sono rinvenuti oltre ad una grande abbondanza di cera­mica d’impasto e depurata numerosi frammenti di ceramica d’importazione, in buona parte attica, anche figurata e di buona qualità.

L’estensione della città etrusca sembra delinearsi in generale corrispondente alla civitas vetus quale si mantenne fino al 1190, anno in cui la città si estese al suburbio e il regime delle acque fu rivoluzionato dal Pitentino.

A partire dal IV secolo a.C. una nuova popolazione si affaccia in queste terre: i Celti Cenomani.

La loro presenza ci è nota attraverso le necropoli che, rinvenute dal XIX secolo ad oggi, sono numericamente considerevoli ma, nella maggioranza dei casi, frutto di ritrovamenti fortuiti, fatto che purtroppo comporta una documentazione archeolo­gica solo parzialmente in grado di fornire elementi sicuri e attendibili.

Le testimonianze più antiche provengono dalla necropoli ad inumazione di Carzaghetto di Canneto sull’Oglio. I corredi recuperati consentono di circoscrivere l’arco cronologico di utilizzo della necropoli tra la fine del IV ed il III secolo a.C., evidenziandone forti caratteristiche lateniane ed uno spiccato carattere di isolamen­to e di totale estraneità nei confronti delle contemporanee culture presenti nella Penisola.

Coeva dovette essere anche la necropoli di Ponti sul Mincio. Dai materiali conser­vati si evince che anche in questo caso gli inumati erano portatori di una tradizio­ne lateniana senza contaminazioni.

Ancora attribuibile ad una fase di IV-III secolo a.C. è la necropoli di Cascina Canne di Monzambano, venuta a luce negli anni sessanta e caratterizzata da inumazioni in fosse terragne, con corredi in cui è totalmente assente il materiale ceramico, mentre sono contraddistinti dalla presenza di spada e lancia, elementi indicatori dell’esistenza nel gruppo di guerrieri.

Anche la necropoli celtica di Settefrati di Rivalta sul Mincio, nelle vicinanze della più antica necropoli etrusca di Colfìorito, ci riporta verso un orizzonte cronologico alto, come pure il ritrovamento di Castagnevizza di Cavriana, che fa supporre in tale località l’esistenza di una necropoli di inumati, con materiale di corredo costituito sia da ornamenti metallici che da ceramica.

Collocabile ancora nella fase antica dello stanziamento cenomane è il ritrovamento celtico più importante nel mantovano, quello della cosiddetta “ Tomba di Castiglione delle Stiviere”, l’unico in cui la presenza di elementi di corredo prove­nienti dall’Italia centrale testimoni di un dialogo e di interesse verso le manifesta­zioni dell’Etruria propria ed, assieme ad un oggetto quale il candelabro di raffinata produzione veneta, sia segnale di una realtà più complessa rispetto a quella delle altre summenzionate necropoli coeve. Una realtà in cui accanto ai simboli di potere pro­pri del mondo celtico appaiono oggetti importati, segnale di ricchezza ma anche di un’apertura verso altre culture estranea agli altri gruppi finora individuati nel man­tovano.

Ma veniamo ora ad affrontare per ultima la cultura che al contrario è fra le tre di cui trattiamo, quella di più antica presenza in questo territorio: la cultura dei Veneti.

L’ethnos dei Veneti occupava una vasta regione che superava quelli che sono gli attuali confini del Triveneto, dal Po alle Alpi, il Venetorum angulus di Livio.

Ad ovest in particolare, per quanto ci riguarda, la civiltà venetica si era estesa fino al Mincio, lasciando ampie ed evidenti tracce della sua presenza in riva sinistra, soprattutto con gli abitati di Castiglione Mantovano e del Castellazzo della Garolda.

Scavo al castello di Castiglione Mantovano

Fin dalle fasi più antiche i Veneti diedero vita ad una civiltà originale, ma non estranea alle influenze delle culture limitrofe ed ai contatti con il mondo tirrenico e transalpino. Questa propensione all’accoglienza di stimoli ed elementi provenienti da altre civiltà è già presente nell’XI-X secolo a.C., nella fase definita “protoveneta”, quando in alcuni siti è attestata ad esempio la lavorazione dell’avorio africano e del­l’ambra baltica. Contemporaneamente vi è la presenza di materiale tardo miceneo proveniente dall’Egeo.

A partire dal VII secolo a.C. è in particolare Este ad evidenziarsi come località pri­vilegiata perché posta lungo la via di traffico che metteva in collegamento Vetulonia, centro etrusco di primaria importanza durante il periodo orientalizzante, con l’Etruria Padana che faceva capo all’antica Felsina, da cui a sua volta partiva una direttrice settentrionale che utilizzava la Val d’Adige per le comunicazioni tra l’Etruria ed il mondo transalpino. Tutto il Veneto occidentale gra­vitava su tale via di percorrenza.

La prosperità economica è testimoniata ad esempio da quella che è forse la più nota fra le produzioni degli antichi Veneti, quella delle situle in lamina di bronzo. Le forme di questi vasi appartengono al repertorio locale, mentre la tecnica di esecuzione e le decorazioni figurate rimandano alla produzione di artigiani etruschi ope­ranti nell’area di Felsina. I motivi figurati sembrano ispirarsi al repertorio greco ­orientale ampiamente diffuso nel mediterraneo, ma in taluni casi con fortissimi ele­menti di originalità.

Sul finire del VII secolo a.C. il Veneto si apre anche verso il mondo adriatico e l’a­rea picena, oltre ad intensificare i rapporti con la cultura golasecchiana diffusa nella Lombardia occidentale.

Nel V secolo a.C. Padova inizia ad acquistare importanza a discapito di Este, nel momento in cui il mondo etrusco-padano è bene attestato alle foci del Po e ad Adria, centro ove convergono anche Greci e Veneti. Contemporaneamente acquista rilievo l’abitato di Vicenza, verso il quale confluivano le vie di traffico padane e del Veneto meridionale, punto di collegamento per il mondo alpino e l’Oriente danubiano.

In questo momento l’evidenza archeologica ci testimonia nuovamente la funzione di questa cultura come “cerniera” fra l’Europa ed il Mediterraneo: compare la cerami­ca attica e quella c.d. etrusco-padana assieme al corallo, ma ugualmente si rinven­gono fibule hallstattiane e ganci in bronzo di cintura, traforati, di tipo prettamente celtico.

I Veneti diedero vita, soprattutto nelle fasi più antiche dello sviluppo della loro civiltà, ad una ricca produzione ceramica.

A partire dal IX secolo a.C. è presente nelle tombe l’ossuario d’argilla con una cio­tola come coperchio: si tratta normalmente di un’olla decorata ad incisioni con motivi a pettine angolari.

Tra il IX e l’VIII secolo a.C. sono attestati anche i vasi ceramici a forma di situla; compaiono anche i tipici vasi a forma di stivale. Nell’VIII secolo compare anche una ceramica specializzata per l’uso funerario, che in taluni casi prende il posto di quel­la domestica tradizionale. Molti vasi sono elegantemente decorati con motivi a cordicella. Altri si arricchiscono di borchiette e lamelle decorative di bronzo applicate sulla superficie d’argilla.

A partire dal VI secolo a.C. si assiste ad una standardizzazione delle forme e dei motivi decorativi.

La ceramica funeraria tipica dell’area veneta dal VI fino al III secolo a.C. è rappre­sentata dal vaso situliforme dipinto a fasce di colore rosso e nero, separate da cor­doncini rilevati e con una eventuale decorazione a base di motivi a stampiglia: i più ricorrenti sono i cerchi concentrici e i rombi apicati.

La ceramica dipinta in rosso e nero diviene una costante della produzione fittile dei Veneti, presente in svariate forme ceramiche d’impasto, come olle, bicchieri e coppe su alto piede. Sono rifatte in ceramica con uguali caratteristiche anche le ciste cordonate, imitanti i prototipi bronzei.

In quest’orizzonte si viene a porre l’abitato che sorgeva in corrispondenza dell’attua­le Castello di Castiglione Mantovano di Roverbella.

In vita almeno a partire dall’VIII secolo a.C. fino al IV secolo a.C., dovette avere un’estensione maggiore di quella del castello, dato che i lavori di regolarizzazione del dosso su cui sorge ne hanno intaccato le zone più esterne, cosicché si deve proporre per l’abitato dell’età del Ferro un’estensione superiore ai quattro ettari e mezzo oggi riscontrabili.

Indagato oltre che con saggi nelle aree perimetrali con un saggio principale di 100 mq. al suo interno, il sito archeologico si è dimostrato di grande interesse.

Qui, testimoniati da buchi di palo ed alloggiamenti per travi di fondazione, assieme a frammenti del rivestimento in argilla dell’incannucciato, sono venuti in luce edi­fici rettangolari che si sovrappongono, a volte ampliandosi in più ambienti, destinati ad abitazione oppure in taluni casi alla produzione. Caratteristico è il focolare qua­drato, che si evidenzia sulla pavimentazione. Quest’ultima, in argilla, in taluni casi presenta una sorta di vespaio che doveva rendere più salubre l’ambiente.

Di particolare interesse è la presenza di un forno che dovette essere utilizzato per ali­menti.

Copiosissimo è il materiale rinvenuto, dalle ceramiche prettamente venetiche, rap­presentate sia dagli impasti decorati a falsa cordicella che da quelli con decorazione metallica ed in notevole quantità da quelle decorate a stralucido o a bande rosse e nere, alle ceramiche depurate di tipo c.d. etrusco-padano, alle ceramiche d’importazione, quali quella attica, presente fra l’altro con un frammento decorato pertinente al gruppo del “Fat Boy”.

Numerosi i materiali che attestano la lavorazione di filati e tessuti: fusaiole decora­te, pesi da telaio, rocchetti spesso con la caratteristica decorazione a cerchielli, ed una spada da telaio in osso.

In osso ancora numerosi frammenti con tracce di lavorazione.

I monili sono in bronzo, e fra tutti ricordiamo un pendente a forma di secchiello, in ambra, in osso, soprattutto con i tipici astragali.

Frammenti di grandi contenitori di derrate ed il rinvenimento di numerosi semi di cereali ed altro sono indizi della vita quotidiana di questo centro.

E’ indubbio che l’analisi dei dati di questa prima parte di indagini fornirà elementi utili per la comprensione del ruolo svolto dai siti di confine, com’è l’abitato di medie dimensioni del Castello di Castiglione Mantovano.

Bibliografia essenziale

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E. M. MENOTTI, A proposito della presenza ed influenza etrusca nel territorio mantovano, Atti del IV incontro di studi di Preistoria e Protostoria in Etruria, Mandano, Montalto di Castro, Valentano, settembre 1997, in corso di stampa.

n.b.: Testo tratto da "ROVERBELLA ATTRAVERSO I SECOLI: CIVILTA' E CULTURE IN UNA TERRA DI CONFINE - ATTI DELLE CONFERENZE (SETTEMBRE-OTTOBRE 1997)" - maggio 1999

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