IL TERRITORIO DI ROVERBELLA NELL’ETÀ’ DEL BRONZO
Marco Baioni, Laura Seragnoli
Università degli Studi di Pisa, Scuola di Specializzazione in Archeologia
Già alla fine del secolo scorso il territorio compreso tra i comuni di Roverbella e Castel d’Ario era noto per vari ritrovamenti preistorici: in particolar modo, i frequenti spianamenti di terreno finalizzati all’impianto di risaie, se da un lato compromettevano la conservazione degli antichi villaggi, dall’altro mettevano alla luce numerosi oggetti riferibili prevalentemente all’età del Bronzo. Questi ultimi vennero raccolti da alcuni studiosi locali, tra cui l’abate Masè di Castel d’Ario e A. Portioli di Mantova, i quali, pubblicando frequentemente i risultati delle loro ricerche, diedero un notevole contributo alla conoscenza della preistoria italiana, che proprio in quegli anni muoveva i primi passi come disciplina autonoma.
Dopo l’importante stagione ottocentesca non furono più segnalate scoperte degne di nota sino alla fine degli anni Settanta, quando il Dott. Zanoni di Mantova, all’epoca ispettore onorario della Soprintendenza Archeologica, iniziò adoperare sul territorio.
Proprio a lui si devono, tra le altre, la segnalazione di ritrovamenti preistorici nell’area di Prestinari e la “riscoperta” dell’abitato del Fornasotto, di cui si tratterà in seguito.
Ma è grazie all’operato del Gruppo per la Ricerca e la Tutela della Storia Roverbellese e alle meticolose e accurate raccolte di superficie operate dai suoi membri che si è giunti alla scoperta di diverse decine di siti preistorici, una trentina dei quali riferibili all’età del Bronzo.
Lo studio dei materiali, condotto a più riprese dagli scriventi, ha consentito di tracciare un quadro del popolamento preistorico dell’area, già presentato in vari convegni (Baioni, Seragnoli 1996; Baioni, Seragnoli 1998). Attualmente è in atto un progetto di ricerca multidisciplinare coordinato dagli scriventi che coinvolge specialisti di varie discipline: il lavoro degli archeologi è infatti accompagnato da ricerche volte alla ricostruzione dell’ambiente. In particolare con il Dott. C. Balista, geologo, si sta cercando di ricostruire nel modo più dettagliato possibile la morfologia del territorio durante la preistoria e di comprendere in che modo essa abbia potuto influenzare l’insediamento umano. Lo studio dei pollini presenti nei sedimenti databili all’età del Bronzo, affidato alla Prof. C. Accorsi, palinologa, consentirà di conoscere le caratteristiche della copertura vegetale dell’area e di conseguenza di avere informazioni riguardo al clima e l’economia. Infine la Dott. N. Martinelli, dendrocronologa, si sta occupando della datazione assoluta di alcuni campioni lignei provenienti dal territorio in esame. A questo proposito ci preme sottolineare che anche indizi apparentemente molto labili e insignificanti agli occhi dei profani, possono in realtà fornire dati di rilevante interesse scientifico se studiati da professionisti competenti: anche un semplice frammento ceramico recuperato in superficie può fornire un contributo all’acquisizione di conoscenze. Tanto più deprecabile risulta pertanto l’atteggiamento di quanti detengono illegalmente materiali archeologici o omettono di segnalarne il rinvenimento: tale pratica infatti non solo è apertamente in contrasto con la legge vigente ma ostacola il progredire della ricerca e delle nostre conoscenze, arrecando danno a tutta la collettività. D’altro canto le consuete polemiche di chi si giustifica accusando le autorità competenti di chiudere i reperti in polverosi magazzini e di sottrarli così alla pubblica visione non tengono conto del fatto che sarebbe impossibile esporre tutti i manufatti rinvenuti e che i magazzini di musei e soprintendenze sono comunque luoghi di studio e di ricerca!
L’età del Bronzo:
Il concetto di un’età caratterizzata dalla metallurgia del bronzo, che si incuneava cronologicamente tra l’età della pietra e l’età del ferro, risale alla prima metà del secolo scorso ed è riconducibile alla formulazione del cosiddetto “sistema delle tre età” da parte dello studioso danese Ch. J.Thomsen.
Gli studi successivi hanno consentito da un lato di suddividere ulteriormente tale epoca, riconoscendovi diverse fasi e sottofasi, dall’altro di fornire datazioni assolute per ciascuna di esse.
In Italia settentrionale l’età del Bronzo è compresa tra il 2200 a. C. e il 900 a. C. e può essere così suddivisa:
Bronzo Antico 2200-1600 a.C ca.
Bronzo Medio 1600-1300 a.C. ca.
Bronzo Tardo o Recente 1300-1200 a.C. ca.
Bronzo Finale 1200-900 a.C. ca.
Questo periodo (fase climatica Sub-boreale) risulta caratterizzato da un clima generalmente piuttosto caldo e secco, con temperature estive superiori rispetto a quelle attuali, anche se furono presenti oscillazioni climatiche più umide e fresche; all’inizio dell’età del Bronzo il livello delle acque lacustri era sicuramente inferiore rispetto a quello odierno e la pianura padana era pressoché interamente coperta da boschi di querce, ontani, faggi ecc. In questo tipo di habitat grande importanza avevano i fiumi come via di comunicazione.
Le comunità dell’età Bronzo praticavano l’allevamento di ovi-caprini, bovini e suini e un’agricoltura stanziale incentrata prevalentemente sulla coltivazione di cereali (farro, piccolo farro, spelta, grano, orzo ecc.) e di alcune leguminose. La produzione di cibo, agevolata dall’introduzione dell’aratro e dalla pratica della stabulazione, era comunque integrata, soprattutto nel Bronzo Antico, da attività di caccia e di raccolta di frutti spontanei (mele, pere, corniolo e altre bacche), molluschi ecc.
Nel corso dell’età del Bronzo lo sviluppo di un’agricoltura sempre più intensa da un lato consentì un notevole incremento demografico, eguagliato solo molti secoli dopo in età romana, dall’altro comportò il disboscamento di ampi tratti della pianura, e si tradusse quindi in un primo serio impatto ambientale da parte dell’uomo.
Il Bronzo Antico e la cultura di Polada:
L’area centrale della pianura padana a nord del Po è caratterizzata, durante il Bronzo Antico, dalla cosiddetta “cultura di Polada”, che prende nome dall’omonima torbiera situata presso Lonato (BS) ove furono rinvenuti numerosi manufatti risalenti a tale periodo. Le genti della cultura di Polada producevano a mano vari tipi di recipienti ceramici, tra cui boccali e tazze spesso caratterizzati da un’ansa ripiegata a gomito, scodelle, anforette e grandi contenitori per la conservazione di derrate alimentari. La fase finale della cultura in esame è caratterizzata da scodelloni di grandi dimensioni riccamente decorati a motivi cruciformi incisi, secondo uno stile ampiamente documentato nell’abitato di Barche di Solferino (MN).
La produzione metallurgica comprende asce di varia foggia, pugnali e vari oggetti d’ornamento tra cui si possono citare vari tipi di spilloni e collari. Si tratta di manufatti che presentano forti affinità con quelli riscontrati nelle culture centroeuropee.
La grande maggioranza degli utensili era peraltro ancora realizzata in pietra scheggiata (lame, grattatoi, raschiatoi ecc. ma anche lame per falci messorie e punte di freccia) o levigata (asce, mazzuoli ecc.), e così pure in osso, corno e legno.
Abitati e testimonianze riferibili alla cultura in esame sono diffusi principalmente lungo le sponde del lago di Garda, nei bacini lacustri (oggi per lo più estinti) del suo anfiteatro morenico, in ambito alpino e nella bassa pianura cremonese, bresciana, mantovana e veronese. Propaggini estreme di tale cultura sono riconoscibili a ovest in area bergamasca e lecchese e a est in ambito berico-euganeo.
Come si è detto, la dislocazione degli insediamenti prediligeva aree perilacustri o fluviali, cioè aree umide che imponevano la realizzazione di particolari tipi di abitazione. Sono infatti caratteristiche di questo periodo le cosiddette “palafitte”, peraltro documentate sia a nord che a sud delle Alpi già nelle epoche precedenti.
Le palafitte:
La scoperta dei primi villaggi palafitticoli avvenne in Svizzera a metà del secolo scorso: nell’inverno 1853-1854, infatti, condizioni climatiche eccezionalmente rigide provocarono un notevole abbassamento del livello di alcuni laghi (Zurigo, Neuchàtel ecc.) mettendo così in luce numerosissimi pali impiantati verticalmente nel fondo lacustre.
Il primo a formulare l’ipotesi che si trattasse di resti di antichi villaggi palafitticoli fu un antiquario di Zurigo, F.Keller: egli ipotizzò infatti l’esistenza di abitazioni poggianti su una piattaforma lignea sorretta da pali infìssi in acqua e collegata alla terraferma attraverso una passerella. La sua ipotesi era basata, tra l’altro, su confronti etnografici e in particolare su alcune illustrazioni di villaggi palafitticoli della Nuova Guinea e della Polinesia che circolavano a quell’epoca. L’esistenza di abitazioni su palafitta già nell’antichità era del resto confermata dallo storico greco Erodoto, che descriveva alcune case su pali nel Lago di Prasiade in Macedonia.
Ulteriori ricerche condotte durante la prima metà del nostro secolo portarono alla luce resti di abitazioni lignee poggianti direttamente sul terreno e non sorrette da pali verticali; nello stesso tempo si era compreso che il livello delle acque lacustri aveva subito notevoli variazioni nel corso del tempo. Fu così che, a distanza di un secolo dalle prime scoperte, si giunse a negare l’esistenza di abitati palafitticoli e a ipotizzare che i “campi di pali’’ del Keller fossero in realtà resti di abitazioni all’asciutto, successivamente sommerse dall’acqua.
Le scoperte degli ultimi decenni hanno invece contribuito a chiarire che non esisteva un unico modello insediativo e che in ciascun abitato sembrano essere state adottate soluzioni diverse, rispondenti di volta in volta a specifiche esigenze ambientali: gli scavi di Fiavé (TN) hanno dimostrato che, nell’ambito di uno stesso villaggio, sorto su un isolotto all’interno del bacino lacustre, alcune abitazioni erano costruite all’asciutto e poggiavano su strutture lignee orizzontali di bonifica, mentre quelle spondali erano di tipo palafitticolo.
Le soluzioni insediative, così come le tecniche edilizie, variavano dunque a seconda delle esigenze e dell’habitat circostante. Emblematico, a questo proposito, è il caso del Lavagnone di Desenzano del Garda (BS). Il villaggio dell’età del Bronzo, ubicato all’interno di un bacino inframorenico, è stato ripetutamente indagato da R. Perini negli anni ‘70, mentre dal 1989 sono incorso campagne di scavo condotte dall’università degli Studi di Milano e dirette dal Prof. R. C. De Marinis (De Marinis et alii 1996). Le caratteristiche del terreno e la sua umidità hanno perfettamente conservato anche il materiale organico e il legno, fornendo così preziosissime indicazioni sui caratteri dell’abitato.
Gli scavi nel settore A hanno permesso di riconoscere una sequenza di fasi edilizie che abbraccia tutta l’Antica età del Bronzo e parte del Bronzo Medio. Il villaggio più antico (risalente al 2000 a. C. ca.) fu impiantato in acqua ed era sostenuto da numerosi pali in legno di quercia, le cui sommità presentano delle intaccature a mensola adibite ad alloggiare gli elementi lignei orizzontali che a loro volta sostenevano l’impalcato aereo. A Fiavé i pali portanti, ricavati da conifere presenti nei boschi circostanti, presentano invece sommità sagomate a forcella e adibite allo stesso scopo.
Alla distruzione di questo villaggio, provocata da un incendio, fece seguito una ricostruzione. Questo secondo abitato, sempre di tipo palafitticolo, presenta una variante edilizia particolare: i pali sono ora inseriti all’interno di plinti orizzontali che ne impediscono lo sprofondamento nelle crete lacustri. Anche questo villaggio fu distrutto da un incendio. Successivamente l’area, ormai pressoché prosciugata, fu livellata e le nuove abitazioni, risalenti alla fase più tarda del Bronzo Antico, vennero costruite all’asciutto su intelaiature lignee a cassettoni (bonifica).
Il Bronzo Medio/Recente:
La fine del Bronzo Antico non è segnata da bruschi cambiamenti né dal punto divista della cultura materiale né dal punto di vista degli insediamenti: molti dei villaggi occupati durante il Bronzo Antico continuano infatti a essere popolati almeno durante la prima fase del Bronzo Medio. Si registra però un graduale passaggio da abitati su palafitta o su bonifica ad abitati all’asciutto con prime forme di villaggi delimitati da fossato.
Tra le forme ceramiche più caratteristiche di questo periodo si possono citare le cosiddette “capeduncole”, ossia tazze a profilo carenato munite di anse sopraelevate di varia foggia e spesso decorate con motivi a solcature. Le anse sono caratterizzate da appendici progressivamente sempre più sviluppate e diversificate la cui linea evolutiva culmina con le cosiddette anse “cornute” o “lunate”, che già nel secolo scorso erano considerate indicative della cultura terramaricola.
Proprio a partire dal Bronzo Medio si registra un cospicuo aumento nella produzione di manufatti metallici e in osso o corno, mentre l’industria litica sembra perdere progressivamente importanza. Anche strumenti che nel Bronzo Antico erano fabbricati in selce, come le lame di falcetto, ora sono prodotti in bronzo. La massima diffusione dei manufatti metallici si registra nel Bronzo Tardo, o periodo di “Peschiera”: sono infatti ampiamente documentati pugnali, spade, elmi, ma anche strumenti di uso quotidiano come ami, aghi, lesine, punteruoli ecc. e vari monili, tra cui si possono citare spilloni, aghi crinali, pendagli e i primi esemplari di fibule, ornamenti che avranno una grande importanza nelle epoche successive.
Le terramare:
Nel corso del Bronzo Medio e Tardo si registra un notevole incremento demografico accompagnato da un’occupazione capillare della pianura, anche a sud del Po (De Marinis 1997).
Proprio in Emilia diviene frequente una tipologia di abitato che fin dal secolo scorso è stata considerata come uno tra gli elementi più distintivi dell’età del Bronzo: la terramare.
Questi villaggi erano spesso indiziati dalla presenza di culminazioni morfologiche che si elevavano di qualche metro rispetto alla campagna circostante, determinate dalla sovrapposizione degli strati archeologici. Il terriccio particolarmente ricco di sostanze organiche, la “marna”, conobbe, verso la metà dell’Ottocento, un grande sfruttamento come fertilizzante. Proprio i lavori estrattivi della “terra marna”, pur distruggendo irrimediabilmente molte delle antiche testimonianze, portarono alla luce numerosissimi manufatti e resti di strutture preistoriche, denominate appunto “terramare”, che furono raccolti e studiati dal Pigorini, dal Chierici e dallo Strobel, fondatori dell’archeologia preistorica italiana.
Già il Pigorini propose una definizione per questo tipo di abitati, in larga parte confermata dagli scavi recenti e dall’esame delle foto aeree. Si tratta infatti di villaggi a pianta prevalentemente quadrangolare, di ampiezza variabile da 1 a 20 ettari, circondati da un fossato in connessione con corsi d’acqua di varia portata e da un argine costruito con la terra di risulta dell’escavazione del fossato e trattenuto spesso da strutture lignee, i cosiddetti “gabbioni”. Molteplici sono le ipotesi formulate circa la funzione delle strutture perimetrali, volta per volta interpretate come strutture difensive rispetto ad animali feroci, popolazioni nemiche o come protezione dal pericolo di alluvioni ecc.
All’interno della recinzione le case sorgevano su un impalcato sopraelevato oppure direttamente sul suolo e, secondo quanto già rilevato dal Pigorini, dovevano essere distribuite in modo regolare, probabilmente secondo un piano urbanistico preordinato.
Le notevoli dimensioni di questi abitati, spesso abbinati a estese necropoli, sono indizio di un notevole incremento demografico, che in alcuni casi rese necessario un ampliamento delle strutture perimetrali. L’occupazione della pianura si fa sempre più intensiva e, accanto a villaggi di grandi dimensioni, ne sono presenti altri decisamente più modesti e meno strutturati, che forse erano in dipendenza gerarchica rispetto ai primi.
Il complesso sistema terramaricolo sembra improvvisamente collassare alla fine del Bronzo Tardo: tutto il territorio che aveva visto la nascita e lo sviluppo di questo importante fenomeno culturale appare ormai semiabbandonato, mentre zone che fino ad allora erano risultate marginali acquistano ora una maggiore importanza: è il caso, per esempio, del comprensorio di Este-Padova, della Bologna protovillanoviana e di Como, che vedranno poi il loro massimo sviluppo nell’età del Ferro.
Questa improvvisa crisi è stata imputata a vari fattori (climatici, demografici, bellici ecc.), ma sembra ora prevalere l’ipotesi di sopraggiunte condizioni di instabilità 0politica, evidente anche in altre regioni del Mediterraneo (De Marinis 1997).
Il territorio di Roverbella nell’età del Bronzo:
Il territorio roverbellese si trova al confine tra l’alta e la media pianura ed è attraversato dalla fascia delle risorgive. Lo studio geomorfologico, condotto sia sulla base di osservazioni dirette, sia con l’ausilio di carte tecniche e di fotografie aeree, ha permesso di individuare la presenza di una valle scavata proprio dalle acque di risorgiva, incanalatesi in un corso d’acqua ormai estinto, che da Castiglione Mantovano scendeva in direzione NNW-ESE verso Castelbelforte. Questo antico corso d’acqua, il cui tracciato è parzialmente ricalcato dal corso della Fossa Molinella, presenta dunque un orientamento analogo a quello dei numerosi paleoalvei identificati nell’area compresa tra l’attuale corso del Mincio e quello del Tione-Tartaro.
Questo elemento morfologico sembra aver condizionato in modo significativo il popolamento dell’area, fin dal Neolitico.
Le ricerche del Gruppo per la Ricerca e la Tutela della Storia Roverbellese hanno consentito di individuare almeno 20 insediamenti localizzati all'interno del paleoalveo e a breve distanza l’uno dall’altro: un cospicuo gruppo e’ situato in località’ Prestinari (siti contrassegnati dalle sigle alfanumeriche: P, PI, P2, P3,P6/7), altri sono ubicati nei pressi del centro abitato di Roverbella (R e R2), a Castiglione Mantovano (C6), nella frazione di S. Brizio presso Marmirolo (M), in località S. Lucia (SL1 e SL4), nel Fondo Casarotti (P4 e P5), nella frazione di Canedole (CA, BR e BR2), nel Comune di Castelbelforte (BRI, CB) e presso Cazzo Bigarello (GB). I siti in esame sono caratterizzati, oltre che da affioramenti di materiali, da una colorazione particolarmente scura del terreno e dalla sua matrice prevalentemente torbosa. Recenti escavazioni di fossi di drenaggio hanno rivelato, per alcuni degli abitati in oggetto, una considerevole potenza stratigrafica e la presenza di sfasciume e di palificazioni lignei.
La presenza di pali lignei verticali in buono stato di conservazione, spesso visibili sulle pareti dei fossi, fa presumere che i villaggi sorgessero su palafitte analoghe a quelle riscontrate lungo le sponde del lago di Garda e nei bacini inframorenici. L’esame dei reperti portati in superficie durante le arature ha consentito di riconoscere in tutti questi villaggi una fase di occupazione risalente alla fase finale dell’Antica età del Bronzo (1800-1600 a. C. ca.): sono infatti stati recuperati pugnaletti in bronzo caratterizzati da una base semicircolare, alcuni dei quali presentano una ricca decorazione incisa, collari in bronzo con terminazioni a occhiello, boccali e tazze con ansa a gomito e numerosissimi scodelloni con la decorazione cruciforme tipica dello stile di Barche di Solferino. Alcuni dei manufatti rinvenuti testimoniano la presenza di contatti a vasto raggio: da un insediamento identificato nei pressi della Cascina Parolara di Castelbelforte, per esempio, proviene un’ascia di tipo molto particolare, estremamente rara in Italia, ma diffusa nell’Europa centro-orientale. In un sito dell’area di Prestinari è invece stato recuperato un oggetto oblungo in terracotta con incisioni e impressioni geometriche. Oggetti di questo tipo, la cui funzione è tuttora oscura, vengono solitamente indicati come “tavolette enigmatiche” e sono presenti, oltre che in vari contesti dell’Italia settentrionale, anche in abitati slovacchi riferibili alla cultura di Mad’arovce.
L’elevato numero di abitati e la loro vicinanza non devono trarre in inganno: non è detto infatti che essi siano stati abitati contemporaneamente. Purtroppo le datazioni che si possono ricavare attraverso lo studio delle tipologia dei materiali recuperati consentono solo di attribuire i medesimi alla fase finale della cultura di Polada, la cui durata è di almeno due secoli.
Non si può dunque escludere che almeno alcuni degli abitati del Bronzo Antico qui presentati siano stati impiantati da uno stesso gruppo ma in momenti diversi, anche perché raramente le strutture abitative duravano più di una generazione e l’agricoltura non ancora del tutto stabile imponeva frequenti spostamenti.
In alcune delle aree già interessate da villaggi del Bronzo Antico sono stati rinvenuti oggetti databili alla fase iniziale del Bronzo Medio (P, P1, R, SL4, BR, BRI, BR2, CA, C6, CB, GB e, forse, M). Ricche testimonianze riferibili a questa fase (1600- 1500 a. C. ca.) provengono dall’abitato principale della corte Prestinari, segnalato alla fine degli anni Settanta dal Dott. Zanoni. L’esame delle foto aeree ha messo in evidenza la presenza di un’area di forma grosso modo triangolare, a vertici smussati, dell’ampiezza di poco più di un ettaro. Le recenti ricerche condotte con il Dott. Balista hanno fornito indizi che portano a ipotizzare che l’abitato di Prestinari, delimitato da un fossato e da un argine, sia stato impiantato su un isolotto emergente all’interno del paleoalveo. Rispetto alle terramare dell’Emilia, edificate per lo più in una fase più avanzata del Bronzo Medio, questo abitato presenta dimensioni decisamente più ridotte, che lo accostano piuttosto ai non lontani villaggi dei Camponi di Nogarole Rocca e di Finilone (VR).
Strutture analoghe sono state riconosciute anche nei siti di Pellaloco (C3) e della Corte Fabbrica (T3), che sembrano essere stati fondati proprio in questo periodo, all’esterno della valle.
Gli abitati che hanno restituito oggetti databili alla fase iniziale del Bronzo Medio, meno numerosi rispetto a quelli del Bronzo Antico, risultano dunque più dispersi nell’area e le loro dimensioni sono più ampie. Il fatto che si registri comunque una persistente predilezione per le aree umide porta a escludere che vi sia stato un cambiamento radicale nelle strategie insediative. Questi mutamenti potrebbero piuttosto essere connessi a condizioni socioeconomiche più propizie e a una più stabile occupazione del territorio.
Una vera e propria riconfigurazione dell’area, basata su una trama di ampi villaggi, spesso circondati da argine e fossato, si ha solo a partire da una fase avanzata del Bronzo medio. In questo periodo il paleoalveo della Molinella, così fittamente costellato di villaggi durante il Bronzo Antico, non ha più un influsso notevole sulla dislocazione degli abitati. Solo i villaggi della corte Prestinari persistono all’interno del bacino, e materiali del Bronzo Medio avanzato e del Bronzo Tardo sono stati recuperati anche in un’area adiacente a quella del sito arginato (P8), che potrebbe corrispondere a un ampliamento dell’abitato effettuato proprio in questa fase, fenomeno ricorrente anche nelle terramare emiliane. Al contrario, il sito del Fornasotto sorge lontano dal paleoalveo della Molinella, in una posizione più elevata e asciutta.
Questo abitato, purtroppo distrutto dai lavori agricoli e parzialmente coperto da costruzioni rurali, non risulta più chiaramente leggibile sulle foto aeree ed è indiziato solo dalla maggior prominenza del campo rispetto alla campagna circostante. Per avere maggiori informazioni è pertanto necessario rivolgersi alle scarne notizie presenti nella letteratura archeologica: secondo A. Portioli (Portioli 1877), che per primo segnalò il sito nel 1877, l’abitato si presentava sottoforma di un dosso dell’estensione di circa quattro ettari. Nei due piccoli sondaggi aperti rilevò stratigrafia dello spessore di oltre due metri, comprendente quattro strati. Gli scarni dati stratigrafici, non corredati da un’opportuna documentazione grafica, non forniscono purtroppo dati utili alla ricostruzione del sito.
Pur essendo attestati anche elementi più antichi, risalenti al Bronzo Medio iniziale, i copiosi materiali recuperati sono per lo più inquadrabili in una fase avanzata della Media età del Bronzo e nel BronzoTardo.
Il Bronzo Medio avanzato è documentato innanzitutto da varie fogge di anse cornute: ad appendici laterali discoidali, ad appendici coniche, a bottone, a protomi animali poco sviluppate. Sono inoltre frequenti le tazze e le scodelle carenate, talora con ansa canaliculata impostata sulla carena, o con ricca decorazione sulla superfìcie interna della vasca. Sembrano riferibili alla stessa epoca anche le tazze o le scodelle carenate con parete decorata a larghe scanalature e i vasi ovoidi con collo decorato a scanalature e con prese semilunate.
Il villaggio del Fornasotto è contraddistinto anche da una massiccia produzione di manufatti metallici e in osso corno: tra gli oggetti bronzei possiamo citare asce, punte di lancia e di freccia, pugnali, falci, spilloni, ami, pendagli, aghi e aghi crinali con ricca decorazione incisa. Gli strumenti in osso-corno comprendono numerosissime punte di freccia, spatole, aghi ecc. Abbondanti sono anche gli oggetti ornamentali, spesso finemente decorati, come spilloni, capocchie di aghi crinali, bottoni e pettini. Forme di fusione, ugelli per mantici e crogioli, così come molte corna e frammenti di ossa in corso di lavorazione indicano che la produzione di questi oggetti aveva luogo all’interno del villaggio, mentre la grande abbondanza di prodotti finiti potrebbe riflettere l’alta densità di popolazione. Tuttavia questa specializzazione artigianale potrebbe anche aver garantito un ruolo importante al villaggio all’interno di una più vasta rete commerciale. L’esistenza di scambi a vasto raggio è del resto confermata anche dalla presenza di manufatti in ambra, materiale di provenienza baltica.
Il fenomeno di aggregazione e concentrazione in ampi villaggi, accanto ai quali ne persistono altri di dimensioni più modeste potrebbe indicare un’incipiente forma di gerarchizzazione del territorio. Questo processo, iniziato nel Bronzo Medio culmina nel Bronzo Tardo (XIII sec. a. C.). Durante il periodo di Peschiera continuano a essere abitati gli stessi villaggi impiantati nella fase precedente mentre non ci sono nuove fondazioni. Questa stabilità è ben documentata in tutta l’area della cultura terramaricola.
Analogamente a quanto riscontrato anche in altre aree, alla fine del Bronzo Recente tutti questi villaggi sono abbandonati.
Bibliografia essenziale
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BAIONI M., SERAGNOLI L., 1998 The area between Roverbella and Castel d’Ario (Mantua, Italy) during the Middle and the Late Bronze Age, in “Proceedings of the XIII international congress of prehistoric and protohistoric sciences”, Forlì, 1996, pp. 365 e segg.
DEMARINIS R. C., 1997 L’età del bronzo nella regione benacense e nella pianura padana a nord del Po, in “Le Terramare. La più antica civiltà padana”, Modena, 1997, Electa, pp.405 e segg.
DE MARINIS R.C., BAIONI M., DEGASPERI N., MANGANI C., SERAGNOLI L., 1996 Nuovi scavi al Lavagnone (Desenzano del Garda - Lonato) e considerazioni sull’Antica età del Bronzo nell’Italia settentrionale, in “L’Antica età del Bronzo in Italia”, Atti del Congresso Nazionale, Viareggio, 1995, pp. 257 e segg.
PORTIOLI A., 1877 Scoperte paletnologiche, Gazzetta di Mantova, giovedì 29 novembre 1877, n. 279, anno XV, p. 1 e venerdì 30 novembre 1877, n. 280, anno XV, p. 1.
n.b.: Testo tratto da "ROVERBELLA ATTRAVERSO I SECOLI: CIVILTA' E CULTURE IN UNA TERRA DI CONFINE - ATTI DELLE CONFERENZE (SETTEMBRE-OTTOBRE 1997)" - maggio 1999